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Immagine del redattoreAdele D'Angelo

Quando si fa di necessità, virtù. La Rai ci ha scelti come modello virtuoso.

Tutto iniziò con una semplice chiacchierata tra amici. Eravamo chiusi in casa ma si registrava una gran curiosità di capire se le scuole riuscissero a portare avanti le attività, soprattutto in contesti difficili, in cui la povertà educativa viaggiava di pari passo a quella sociale ed economica. Quando manifestai il mio entusiasmo per come stessero andando le cose, perché quel momento stava aprendo nuovi mondi a tutto il sistema scolastico, mi chiesero di raccontare con un breve video, la nostra - mia e dei miei colleghi- felice esperienza. Quel video diventò virale e allora fui contattata da una testata giornalistica che volle sapere e capire meglio e fu subito stupore. Un nuovo paradigma, una nuova alleanza, si era creata tra docenti e discenti. All'epoca ero animatrice digitale dell'istituto, in una struttura dove non esistevano device per nessuno, eccetto quelli dedicati al personale amministrativo e alla dirigenza. Nelle aule nessun collegamento ad internet, due o tre LIM, qualche lavagna di ardesia. Un scuola con il tasso di immigrazione più alto d'Europa, in un territorio martoriato dalla criminalità e dalla disoccupazione. Pochissime le opportunità di dialogo con le famiglie, molti alunni vivevano in case-famiglia, pochissimi avevano un cellulare e, per la maggior parte, l'unico device era ad uso di tutta la famiglia, composta da bambini e ragazzi di età differente, ciascuno frequentante classi diverse. Ebbene, anche grazie ai fondi messi a disposizione dello Stato, riuscimmo a consegnare a ciascuno di loro, un device ed una scheda per il collegamento ad internet, affinché potessimo aprire almeno un dialogo con loro. Non era facile neanche risalire al domicilio di molti studenti, ma una rete di solidarietà e di passaparola, ci consentì, in accordo con la protezione civile, di raggiungere anche coloro che vivevano in campi ROM. Nonostante tutto, fummo la prima scuola della provincia a partire con la DaD. In una settimana anche i meno avvezzi alle tecnologie, riuscirono a scaricarsi la piattaforma per il collegamento, a capire la differenza tra una e-mail e un sms, l'esistenza di un registro elettronico. Fiumi di videotutorial rimbalzavano sulle chat della scuola, per far sì che tutti, nel giorno e nell'ora stabiliti per l'inizio delle lezioni da remoto, potessero essere presenti. E fu così che arrivò il grande giorno, appena 10 giorni dopo l'inizio del lockdown e della chiusura delle scuole. Un'emozione pazzesca: tutti presenti! Non fu facile, certo, ma quello che ne venne fuori, fu la sensazione di far parte di una grande famiglia, molto più che prima, in condizioni "normali". In dieci giorni si erano attivate sinergie e legami prima inimmaginabili. Ognuno di noi, ebbe l'opportunità di entrare nelle case dell'altro, di svelare un pezzetto di intimità che, diversamente, non sarebbe mai stato possibile.


La vera rivelazione furono proprio quei ragazzi che, prima della pandemia, usavano i cellulari in classe per "uscire" virtualmente dall'aula, per distarsi, ma, durante la DaD erano lì, presenti, con attenzione e partecipazione. Arrivarono a chiederci di poter fare lezione persino il sabato pomeriggio... e allora si, stavamo percorrendo la strada giusta. Io, prima di quel momento, portavo avanti un progetto di educazione civica digitale, oltre che essere un'insegnante di arte e immagine. Una materia che, almeno per la parte riguardante la storia, era considerata noiosa ed inutile, quando portata avanti semplicemente con lezioni frontali "classiche". Proposi allora, in quella occasione, di coniugare sogni, realtà e divertimento. Grazie ad applicativi di uso comune, facemmo il giro del mondo e, in accordo con i prof. di geografia, storia, italiano, di volta in volta, partivamo all'esplorazione di quel luogo. Anche la semplice geolocalizzazione destava meraviglia in molti di loro. Avevamo il mondo a portata di un click e tutto parve più semplice da apprendere. Fu così che scoprì che la maggior parte di questi ragazzi, non aveva mai visto "dal vivo" Napoli, il capoluogo campano distante meno di 20km dalla loro città! Così ci addentrammo, da remoto, per vicoli, piazze, chiese, palazzi e teatri. Pian piano spiegai loro il valore di questi luoghi, cosa fosse l'UNESCO e quale era il ruolo strategico di questa organizzazione; l'importanza della tutela del patrimonio storico artistico. Capirono che senza la conoscenza di questi "dettagli" storici, non avrebbero potuto apprezzarli alla stessa maniera. Capirono che la storia, la geografia, la storia dell'arte, le scienze, seguivano una linea del tempo che dava sostanza e ragione ad ogni cosa, ad ogni elemento architettonico. Questi dialoghi talvolta si svolgevano di sera: spesso i ragazzi mi videochiamavano anche il sabato sera. Tra loro facevano così ma, ad un certo punto, mi sentirono parte del gruppo e dunque decisero di chiacchierare anche con me. Si parlava del più e del meno, qualcuno nel frattempo, durante la conversazione, videogiocava. Fu così che chiesi loro se volevano provare a ricostruire con Minecraft, un videogioco molto in auge in quel periodo, un monumento a scelta tra quelli visitati da remoto. Tutti, ma proprio tutti, scelsero Napoli. Uno di loro, aveva un computer molto datato, che spesso non gli consentiva di collegarsi. Durante le lezioni era spesso assente. Quella sera c'era, era lì. Si scherzava sul fatto che ogni volta doveva studiare uno stratagemma diverso per riuscire ad attivare microfono e videocamera contemporaneamente. Il ragazzo passava ore a smontare e rimontare quel PC. Era molto capace. Fu entusiasta della proposta che feci loro: potevano giocare e studiare contemporaneamente. Si divisero in gruppi e tra loro scelsero un monumento da ricostruire insieme. Dopo qualche giorno non riuscimmo più, né io e né i compagni, a raggiungerlo telefonicamente, né sulla piattaforma per le lezioni. Mi preoccupai molto. Uno dei compagni decise di presentarsi a casa sua. Aveva perso il cellulare e il PC l'aveva abbandonato. Dopo qualche giorno rientrò e mi disse una cosa che non dimenticherò mai: aveva deciso di vendere la bicicletta che aveva comprato facendo piccoli lavoretti edili con il padre, il sabato e la domenica, per comprare un nuovo PC e continuare il progetto di ricostruzione dei monumenti con i suoi compagni. Rimasi folgorata da quelle parole. I suoi rendering erano davvero spettacolari! In un paio di notti (perché mi rivelò che ci lavorò di notte), ricostruì Piazza del Plebiscito di Napoli in modo esemplare! Gli chiesi come aveva fatto a riprodurre, in proporzione le esatte dimensioni di quel magnifico spazio architettonico e mi spiegò, come fosse la cosa più semplice del mondo, i passaggi che aveva seguito, partendo da foto scaricate da internet e con Google Earth. Quel ragazzo, come gli altri, non avevano mai visto quei luoghi, quei monumenti, eppure ne conoscevano ogni dettaglio. Conoscevano le misure di ogni elemento, sapevano quanti gradini aveva quel porticato, dov'era collocato all'interno della città, i nomi delle strade... Insomma, tanto bastava a superare l'esame di terza media con lode. Ebbene, quando mi imbattei nel progetto nazionale "Risorgimento Digitale" che chiedeva quanto il digitale avesse cambiato la nostra vita, non esitai a raccontare la storia di questi ragazzi. Dopo circa un mese fui contattata dallo staff della RAI perché, la nostra storia, tra le tante che avevano ascoltato, aveva colpito molto. La redazione volle parlare con tutti i ragazzi, ascoltare ciò che io avevo anticipato loro. Dopo un altro mese, vennero a scuola e cominciarono le riprese del docu-film che, ad oggi, è ancora in rete, sul sito di RaiPlay. Il regalo più bello che potessero far loro, fu quello di portarli tutti in gita a Napoli, a vedere con i loro occhi, ciò che avevano conosciuto solo da remoto. Fu una giornata indimenticabile.


La puntata in onda su RaiPlay:







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